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La mano è un’appendice straordinaria, ma non è un’esclusiva umana: la condividiamo con tutti i primati ma anche con pipistrelli, gatti, rane e persino delfini.
Charles Darwin segnalò questa singolare coincidenza nel suo L’origine delle specie. “Cosa c’è di più singolare”, scrisse, “del fatto che la mano dell’uomo, conformata per afferrare, la zampa della talpa, fatta per scavare, la zampa del cavallo, la pinna della focena e l’ala del pipistrello siano strutturate tutte secondo lo stesso schema?”. Per Darwin la risposta era chiara: noi umani siamo cugini dei pipistrelli e di tutti gli altri animali dotati di mani; tutti le abbiamo ereditate da un antenato comune.
Le nostre mani hanno cominciato a evolversi almeno 380 milioni di anni fa dalle pinne: non quelle piatte dei pesci rossi, ma quelle robuste e muscolose di alcuni parenti ormai estinti degli odierni dipnoi. Queste pinne lobate avevano all’interno alcune ossa tozze corrispondenti a quelle delle nostre braccia. Col tempo, i discendenti di quegli animali svilupparono anche ossa più piccole, che corrispondono alle nostre ossa carpali e alle falangi. Più avanti si formarono le dita, che separandosi consentirono agli animali di afferrare la vegetazione sottomarina. Le prime mani erano più strane di qualsiasi mano odierna. C’erano specie con sette e anche con otto dita. Ma 340 milioni di anni fa, quando ormai i vertebrati si erano insediati sulla terraferma, le dita si erano ridotte a cinque, e per motivi ancora ignoti alla scienza il loro numero non è più aumentato.
La vita arboricola ha determinato nei Primati l’insorgere di particolari differenziazioni del loro arto superiore che viene ad assumere da organo locomotore esclusivo quale era nei Mammiferi uno specifico adattamento alla presa (organo prensile), con conseguenti notevoli modificazioni a carico delle estremità.